U strattu ‘nto curtigghiu da za Ciddra.Come già affrontato, in Sicilia nel mese di agosto si avviano i preparativi per fare la conserva di pomodoro “a sarsa di pumadoru” e mi ricordo che in paese, andando in giro per i cortili, per le strade, per i vicoli e piazzette o dove c’era un balcone, ringhiera, parapetto, spuntavano i “tavuleri” con la salsa di pomodoro appena fatta e messa ad asciugare al sole per ottenere l'estratto “ Astrattu o Strattu”. Si potevano, dunque, notare tantissime tavole di legno, colorate di rosso vivo, poste con una leggera inclinazione, in modo tale, da fare scolare l’acqua residuata nella salsa. L'odore che si propagava, man mano si asciugava, era particolare e faceva venire l’acquolina in bocca. Ogni tanto bisognava andarlo a “riminari” col cucchiaio di legno, perché i bordi, che si asciugavano prima, fossero ben mischiati alla parte centrale posta sulla tavola “ scanaturi o tavuleri ”, in modo che asciugassero uniformemente. Ma oltre ai “tavuleri” si usavano grandi piatti di creta che fabbricavano i valenti ceramisti di Burgio, piatti che venivano poggiati su delle tavole da letto poste, a sua volta, sopra “trispi” di ferro.In questo modo ci voleva più tempo per la salsa asciugarsi, perché l’acqua che conteneva rimaneva dentro e non scolava, cosa che, invece, avveniva quando si disponeva sui “tavuleri”. Era un lavoro lunghissimo e paziente, e ogni tanto bisognava andare a controllare che mosche e altri insetti non vi si posassero sopra e, nei giorni dell'estratto, vigeva un tacito accordo tra le donne del caseggiato: nessuna scopava il cortile, la strada o batteva tappeti e altro, per non fare polvere che poteva finire sulle tavolate piene d’astrattu.Ma in quel cortile viveva la za Ciddra che era sciarriata cu la zi Filippa e sembrava farlo apposta, perché appena vedeva la zi Filippa uscire i tavuleri, iddra si mittìa a scupari davanti la so porta facennu ‘na purvirazzata ca ‘un vi dicu.Così, cominciava la sciarra:Za Ciddra! Chiamava la zi Filippa.Vossia lu fa apposta! Nun putìa scupari prima ca iu stinnìa l’astrattu? E’ suvirchiusa e havi ‘na vita ca mi fa suvirchiarii!La za Ciddra manco rispondeva, sembrava sorda.Cu vossia parru! Chi ci vinni la surdia? E’ vastasa!A questa parola la za Ciddra assunse la posizione eretta e si girò verso la zi Filippa con aria minacciosa e disse:Senti beddra…nun ti permettiri di offenniri, picchì iu ti rumpu li corna!La zi Filippa rispose:Li corna?! Quali corna? Vossia havi li corna, ca so maritu ci l’ha fattu a setti sulara! A mia dici …taliati a chhissa?!La Za Ciddra infuriata cominciò a camminare verso la zi Filippa con la scoparina in mano e appena fu ad un palmo da lei le diede una spinta ca la fici abbuccari supra u tavuleri chinu di sarsa.Figuratevi quello che successe!? La zi Filippa tutta sporca di salsa da sembrare piena di sangue si alzò e si lanciò verso la za Ciddra e se li suonarono di santa ragione. Meno male che alle grida, uscirono le vicine che cercarono di dividerle, altrimenti le cose sarebbero finite veramente male.Dopo questa grande “sciarra” la zi Filippa e la za Ciddra non si guardarono più in faccia e la zi Filippa fu costretta ad asciugare l’astrattu nella terrazza della sua casa, avendo cura la notte di ricoprire accuratamente con veli sottili i tavuleri, affinchè non prendessero umidità e, così, dopo alcuni giorni , quando il colore era passato dal rosso vivo a un bel purpureo vinoso e la consistenza da semiliquida a pastosa, raccolse la crema e con le mani l’impastò con dell’olio d’oliva ed infine lo sistemò nelle "burnìe", barattoloni di terracotta, ricoprendoli con delle foglie di basilico.La zi Filippa, a seguito della sciarra successa, regalò a tutti una grossa noce d’astrattu ai vicini du curtigghiu, tranne a la za Ciddra, alimentando così ancora di più l’astio che intercorreva tra di loro e non smisero mai di farsi suvirchiarii reciprocamente, fino al punto che quando morì il marito di la zi Filippa la za Ciddra tinni sonu ‘nta lu curtigghiu.Totò Mirabile.
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